Il governo studia la riforma della fiscalità tabacchi: nuovi rincari per i fumatori?
Giugno 2014 – Nuovi rincari all’orizzonte per i tabagisti. È quanto si legge in un articolo de Il Giornale dedicato alla riforma della fiscalità dei tabacchi.
Il crollo del gettito registrato nel 2013, il primo dopo decenni di crescita ininterrotta, scrive Franco Grilli nell’articolo, ha spinto il governo Renzi a correre ai ripari.
Entro la fine di giugno il Consiglio dei ministri potrebbe inserire nella delega fiscale un decreto delegato per rimodulare le accise e aumentare la componente fissa o specifica. Il mancato introito per le casse dello Stato lo scorso anno è stato di circa 600 milioni di euro, risorse che il premier Matteo Renzi non può permettersi di perdere ancora ma che potrebbero invece aumentare se il sistema di tassazione rimarrà immutato.
I ministri dell’Economia Pier Carlo Padoan e della Salute Beatrice Lorenzin sarebbero impegnati nel non facile compito di trovare una soluzione mediando tra i diversi interessi, le multinazionali del settore e gli orientamenti politici dal momento che, si legge, le esigenze dell’Erario e quelle del sistema sanitario non sono le uniche ad avere voce in capitolo. In Italia, continua Grilli, la struttura della tassazione è largamente proporzionale al costo del pacchetto di sigarette.
Se l’Iva è fissa al 22%, l’accisa ha una natura mista: una componente specifica, o fissa, indipendente dal prezzo, pari al 7,5% del totale del carico fiscale (aliquota base + Iva) ed una componente ad valorem, proporzionale appunto al prezzo di vendita e pari ad oltre il 92% del totale. Il braccio di ferro oggi è sostanzialmente tra chi, compreso il ministero della Salute, raccomanda un aumento significativo della componente fissa che avvicini il nostro Paese alla media Ue del 33% e chi invece è contrario a qualsiasi forma di cambiamento.
La soluzione di compromesso sarebbe dunque quella di un effettivo aumento della parte fissa, ma ben al di sotto della media europea, con un rialzo cioè dal 7,5% al 10%. Anche se c’è chi ancora spinge fino al 15-20%. Nell’articolo viene poi citato lo studio condotto da Paolo Liberati e Massimo Paradiso del Cefip (Università Roma Tre), secondo il quale, in un sistema largamente proporzionale come quello italiano, riducendo il prezzo di marche popolari i grandi produttori possono influenzare la classe di prezzo più richiesta e di conseguenza il gettito. “Il crollo dei prezzi potrebbe essere considerato in apparenza un beneficio per i consumatori – sostengono i due studiosi – ma nasconde in realtà un doppio svantaggio: da un lato, fa dipendere il gettito dello Stato dai posizionamenti strategici dei produttori; dall’altro (e qui sta il motivo per cui il ministero della Sanità spinge per un cambiamento del sistema) contribuisce ad amplificare i danni per la salute, non scoraggiando i consumi ma anzi stimolandoli”.